Liberarsi senza paura dell’eredità del 2019

8 Settembre 2024

Con tutta evidenza non è stata ancora digerita, ma non è il caso di consegnare a una sorta di eterno ritorno la discussione sulla questione targata Matera 2019. Di più, il timore fondato è che se ne parlerà ancora a lungo, specialmente in termini di spartiacque. Per quanto, non per ansia liquidatoria, forse sarebbe il caso di non avere paura di indugiare oltre il dovuto e cercare di superare il Rubicone.

Dovrebbe prevalere piuttosto la volontà di “vincere la paura della paura”. Non è un banale gioco di parole. Si tratta del succo di una illuminante conversazione con il filologo e traduttore Fulvio Ferrari, primo relatore della originale rassegna materana “Scrittori allo specchio”. Sua una limpida esplorazione nella letteratura di Stig Dagerman, condotta tra le pagine del romanzo intitolato “Il serpente”, il cui merito è quello di avere anticipato scenari che non si discostano, anzi, richiamano prepotentemente le incertezze odierne.

Tema attualissimo l’abisso delle paure, quelle epocali, quelle quotidiane, che richiamano ugualmente l’urgenza dell’introspezione come opportunità per mettere alla prova noi stessi. Le parole, carambolando tra riflessioni per niente noiose, lievemente, hanno finito per evocare la vicenda di Matera 2019. È stato così che, a livello molto personale, si è fatta strada una reminiscenza popolare sul tema dell’eredità: l’anima a Dio e il corpo alla terra, ma quel che rimane a chi dovrà essere consegnato?

Al di là del lascito materiale di una imponente quanto poco frequentata stazione ferroviaria isolata nel deserto dei Tartari, cosa rimane? Non molto, così sembra, specialmente per quello che riguarda il sentire comune. Forse sopravvivono lacerti di una visione sbiadita e fatalmente lontana, relegata nei corridoi della memoria sotto i cieli pesanti del tempo che inevitabilmente fugge. Bisognava attraversare il guado, si ripeteva affannosamente di contro già prima del 2014. Sono trascorsi più di dieci anni. E cosa abbiamo portato con noi oltre l’attraversamento?

Ripensandoci, qualcosa rimane. Le radici, in realtà, già c’erano. Non è mai sbagliato tutelare e valorizzare, ben venga ogni discussione sul da farsi. Le ali, invece, con tutta evidenza, quelle bisognerà ricostruirle, ancora una volta. Magari liberandosi da finzioni, approssimazioni, inutili furbizie che finiscono per appesantire e impoverire tutti, anche chi ha potuto trarne qualche vantaggio, concreto o solo apparente.

Di 2019, probabilmene, in questi anni se ne è parlato in assenza di quelle tensioni dei tempi lunghi alle quali non eravamo certamente estranei spettatori. A quelle aspirazioni, benché spesso problematiche, era possibile fare comunque riferimento ben oltre ogni congiuntura. Il dibattito vivo, anche aspro di allora, richiama alla mente l’ultimo Azionista - come lo ribattezzò Goffredo Fofi - il meridionalista Leonardo Sacco, la cui biblioteca langue senza un domani in anonimi cartoni abbandonati chissà dove. Sia detto evitando ogni enfasi, un proficuo confronto a viso aperto, quello costantemente stimolato da Sacco, complice la contingenza di un sistema elettorale maggioritario, si è ormai quasi estinto fino a precipitare in una imperdonabile afasia amministrativa.

Così, oggi, non è certo per istintiva reazione che si potrà completare il giro di boa ancora in corso. Il superamento, poi, non dovrebbe ammettere repliche. Non è ragionevole ricercare una vana stabilità a dispetto della mutabilità continua. Davvero: a cosa o a chi servirebbe insistere sulla smarrita consuetudine dei tempi andati nell’inevitabile mutamento in atto?

Il tasso di generosità, in vista dei nuovi appuntamenti con il futuro, risulterà invece tanto più misurabile quanto più potranno rimanere ai margini tentazioni di rivincita, curvature scomposte, distonie e torsioni varie della nostra storia passata che non passa. Le rivalse non dovrebbero avere mai patria e a ogni torcicollo è sempre preferibile opporsi, provare a piegare le sbarre che abbiamo costruito noi stessi e quindi lasciarci alle spalle le prigioni di un trascorso che non può avvitarsi nella spirale di inutili rimpianti.

Nessuna pretesa, non c’è ovviamente una ricetta bella e pronta, soprattutto che valga per tutti. Ma il 2019, quel contesto è oggettivamente lontano e se l’eredità si ridurrà a mera questione di divisioni delle sue povere spoglie, allora, addio agli “inni alla vita dettati da alate idee e ardenti propositi”. Presumibilmente, non farà seguito chissà quale riscrittura del palinsesto smarrito. Senza avanzare la pretesa di nulla di precostituito, sarebbe più consono decostruire e riassemblare con opera tenace tra i crepacci del divenire, sfidare il fatalismo di stagnanti saturazioni con vividi lembi di coscienza civica che, nonostante tutto, la comunità non ha completamente smarrito. Con ogni probabilità, risulterà invece una nuova sciagura il ritorno al passato. Molto meglio affidarsi a distillate consapevolezze, il più lontano possibile dai laboratori in cui si è soliti diluire all’ingrosso le acque stagnanti di un presente vissuto troppo spesso in dissonanza con la realtà.

Polvere alla polvere, cenere alla cenere e maschere alle maschere.

Pasquale Doria
flagHome