21 Maggio 2024
Un silenzio tombale incombe sulla più grande chiesa rupestre di Matera: che fine ha fatto Santa Maria della Vaglia?
Interrogativo non isolato. Ma andiamo per ordine. Le fonti sul luogo di culto non sono certe, le origini risalgono tra l’VIII e l’XI secolo in un’area oggi non più periferica, ubicata a ridosso degli ultimi episodi di espansione urbana. Oltre l’ampia facciata, ornata da eleganti archi e lesene, si aprono suggestivi spazi interni: tre navate absidate scavate nella roccia e intervallate da pilastri slanciati direttamente contro la copertura delle volte a schiena d’asino, il tutto impreziosito da un ciclo d’affreschi di buone fattura risalenti a varie epoche.
L’eliminazione di sali e di scialbi, particolarmente carbonatati, risulta di difficile rimozione, però, è giudicata dagli addetti ai lavori operazione non più rinviabile se si vuole restituire visibilità ai dipinti, pena la loro perdita definitiva. Con l’aggravante che il complesso monastico a ridosso dell’Appia, noto luogo di sosta per i pellegrini diretti in Terra Santa, è già stato vanamente al centro di diverse progettazioni, restauri finanziati e mai completati.
Non è, purtroppo, un caso isolato. Alla base di ogni azione, solitamente, c’è una valutazione. Inequivocabile quella riguardante le 140 chiese rupestri che fanno del territorio materano un unicum nell’ambito della cultura artistica della regione e del Mezzogiorno. Avanzata, infatti, risulta l’azione legata alla conoscenza riguardante la datazione degli affreschi, medesimo discorso vale per gli studi e le importanti interpretazioni iconografiche unite alla lettura delle fonti documentarie e alla memoria di antichissime tradizioni. Rimane dolente il tasto relativo a un più puntuale
censimento, i conseguenti rilievi e la necessaria catalogazione, tutti passaggi utili a definire i vincoli attivi sull’intero patrimonio. Questa sembra la reale misura dei problemi irrisolti, ovvero la realizzazione di programmi integrati d’interventi, sempre annunciati e, purtroppo, ogni volta rinviati a tempi migliori. Risorse statali perse nel caso specifico della Madonna della Vaglia e spesso banalmente sprecate in altri casi, per esempio, a Murgia Timone. In realtà, sono molteplici le emergenze legate ai crolli, alle infiltrazioni, al lavorio delle radici nel banco tufaceo, oppure l’incuria offensiva riservata a chiese come quella di San Leonardo, tutte occasioni di mancata valorizzazione e restituzione alla pubblica fruizione di un patrimonio storico e artistico d’inestimabile valore.
La segnalazione di un’emergenza a dir poco emblematica, come la Vaglia, è quindi finalizzata a denunciare la scomparsa di un’azione fondamentale nel governo del territorio, quella che svolgeva la Soprintendenza in un contesto così vasto, ricco e naturalmente complesso. Autentico controsenso se invece si considera la ricchezza spalmata senza soluzioni di continuità dalle civiltà preclassiche fino al laboratorio internazionale di urbanistica del dopoguerra. Insomma, ci sarebbe bisogno piuttosto di una Soprintendenza speciale, come si decise coraggiosamente di fare a suo tempo per Pompei. Nessuna fuga in avanti, soprattutto la necessità, non più procrastinabile di programmare e attuare interventi mirati. L’esteso patrimonio di affreschi rupestri racchiude una denuncia, la fragilità di un bene a rischio e richiama l’urgenza di assicurare la conservazione di un lascito del passato che non appartiene a una città, in quanto è stato dichiarato universale, patrimonio dell’umanità tutelato dall’Unesco.
Ma, oggi, chi ci rappresenta a livello parlamentare, così da attivare il governo nazionale sulla questione Soprintendenza, forse gli ispiratori della secessione dei ricchi? La prolungata incuria, intanto, provoca danni irreversibili. Ragione per cui urge assicurare la conservazione delle opere d’arte, specie di quelle che, come i dipinti rupestri, presentano quadri diagnostici di difficili soluzioni tecniche. Di contro, colpevolmente, perderemo tutto senza una manutenzione costante e ciclica, forte di monitoraggi continui, in modo da intervenire tempestivamente sui processi di trasformazione già dal loro primo insorgere, attivando risorse umane, tecniche ed economiche per attuare proficue campagne di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Indispensabile, quindi, risulterà una sorta di connubio istituzionale e morale teso a consegnare un patrimonio così importante e impegnativo alla storia futura. Dinamica processuale in cui non possono non essere coinvolti i privati che chiedono di utilizzare al meglio la capacità di attrazione non solo degli antichi rioni Sassi, ma insistono giustamente per una buona distribuzione di funzioni di qualità a tutta la città, al suo territorio e magari alle relazioni di contesto ampio tra Adriatico e Jonio.
Un contributo sostanziale che è possibile in un rapporto aggiornato tra i beni finalmente recuperati, resi agevolmente fruibili e fortemente dialoganti, per esempio, con i programmi della nuova stagione turistica di 73 nuovi scali a Bari annunciati nei giorni scorsi dalla compagnia Msc. Non sembri banale, la segnalazione di questo caso specifico, significa 200mila crocieristi in più rispetto al passato, il tutto a circa 40 minuti di distanza da noi.
Che facciamo, proviamo a dialogare, oppure no?
Pasquale Doria