La Martella, perchè i Piani di recupero del borgo sono necessari, un’aspirazione che viene da lontano

image30 Ottobre 2024

La capacità dei commissari è fatta di ciò che si continua a cercare anche dopo aver pensato di averlo trovato. Lo sanno bene i lettori dei libri "gialli". Ma ci sono provvedimenti in itinere al Comune di Matera, al momento commissariato, che non nascondono nessun mistero. I Piani di recupero del borgo La Martella non riguardano solamente una porzione del territorio comunale, evocano piuttosto una vicenda di respiro nazionale. Lo era già prima del suo avverarsi, proiettandosi ben oltre la fase squisitamente progettuale, tanto più che nel tempo è diventato un caso di scuola rimasto attuale fino ai giorni nostri.

A Leonardo Sacco, meridionalista che con ogni evidenza ha legato il suo nome al dibattito sull’urbanistica e alla denuncia di uno dei suoi momenti più controversi in Basilicata, non piaceva accostare acriticamente il termine utopia riferito alla nascita del borgo La Martella. Ma il tema dell’utopia aleggiava già a valle dei “Criteri di indirizzo per lo studio dei piani territoriali di coordinamento in Italia” del 1952. Dibattito animato dall’architetto e urbanista Giovanni Astengo sulle città e il loro circondario legati dalla specificità di relazioni armoniche. Indirizzo che verrà ripreso più volte. Lo è ancora oggi quando si richiama il messaggio contenuto nell’affresco senese del “Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti. Il criterio di Lorenzetti e di Astengo puntava all’unisono alla ricerca di un equilibrio tra popolazione e risorse.

Negli anni ruggenti della “Città laboratorio di urbanistica”, Matera incarnava idealmente una realtà radicata nella sua storia, dentro al proprio ambiente, intimamente connessa alla campagna. Il settore primario era la fonte primaria del sostentamento di gran parte della popolazione. Ma fu specialmente con il Piano regolatore di Luigi Piccinato, nonché la conseguente realizzazione dei nuovi quartieri e borghi, che l’esperienza materana segnò una svolta decisiva, il passaggio dal rurale all’urbano: una città aperta alla campagna senza barriere e distinzioni fra volumi e ampi spazi di relazione.

In questo ambito svolse un ruolo fondamentale l’intervento pubblico, per la ragione che perseguiva un interesse dichiarato in partenza, appunto quello pubblico. Stagione indubbiamente densa che, almeno nelle migliori intenzioni, cercò di definire la traiettoria di un progetto comune. Lo stesso che avrebbe dovuto unire i trattini tra politica, cultura, economia e società.
Dal borgo La Martella, al Piano regolatore di Piccinato e alla realizzazione dei nuovi quartieri sulle colline a corona della città del piano, ovvero oltre il tracciato della ferrovia, il caso Matera fece discutere come modello.

Un passaggio che superava le precedenti solitarie visioni rurali, emblema di un antico isolazionismo, fino a maturare succose dinamiche comunitarie urbane in grado di chiudere i conti con ataviche forme di subalternità. La stessa struttura urbanistica del borgo La Martella si insinuò significativamente nella campagna, anticipando la possibilità di nuovi sviluppi, germogli già presenti in quelle unità-vicinato che le inchieste sociologiche su Matera, e non solo, avevano individuato come organismi costitutivi della società locale e della struttura dei Sassi.

Straordinarie le descrizioni ascrivibili al gruppo di lavoro di Leonardo Sacco, comprendente tra gli altri Marcello Fabbri, Laura Muratore e Luigi Za. Ebbero a scrivere del borgo quale “nodo di riferimento situato su una leggera altura: intorno vi si aggira un avvio di percorso spiraliforme, che, nell’adeguarsi alla morfologia del terreno, ripete il movimento delle strade dei Sassi. Ma qui la spirale si avvolge intorno a un’elevazione del terreno, invece di affacciarsi sull’imbuto dei burroni, che - originando i Sassi - diedero loro l’aspetto di grande rifugio collettivo al riparo del mondo esterno”.

Come è noto, nonostante il decollo di un dibattito di ampio respiro, per una serie di vicissitudini non tutto andò per il verso giusto. Tra le ragioni che interruppero un processo molto più concreto di un’utopia, a sconvolgere ogni aspettativa, fu la prematura morte di Adriano Olivetti, il padre putativo del borgo. Non è tuttavia un novità, prima della scomparsa, quando era al culmine della sua attività imprenditoriale, aveva personalmente considerato la necessità di avviare un’attività industriale, purché legata a un intimo dialogo con il contesto. Il sopralluogo avvenne con il responsabile dei servizi sociali della Olivetti, Rigo Innocenti.Un intervento che rimase sulla carta, troncato dall’imprevedibile spegnersi del faro d’Ivrea che, intanto, aveva già accettato la sfida allo stabilimento di Pozzuoli e ora si accingeva a intraprendere un’iniziativa non meno impegnativa da noi, tra La Martella e la città.

La storia ha preso un’altra strada, purtroppo. "Una volta eliminato l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità", usava ripetere Sir Arthur Conan Doyle nei suoi romanzi “gialli”. La semplice verità, senza il tramite del suo personaggio più famoso, Sherlock Holmes, non ha bisogno di citazioni letterarie. I Piani di recupero costituiscono un’aspirazione che proviene da lontano e i cui prodromi erano evidenti nel Contratto di quartiere alla fine degli anni Novanta quando Sacco, già avanti con gli anni, fu nominato assessore comunale.

Strumenti pianificatori attesi, non solo in quanto rispondono a tutti quei cittadini che chiedono ormai da tempo di conoscere come devono comportarsi con le necessità vitali dell’abitare, ma riattualizzano un capitolo basilare della storia urbanistica nazionale e locale, al quale dovrebbe essere naturalmente doveroso conformarsi.

Pasquale Doria
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