La sfiducia smaschera i gattopardi a cinque stelle verso il quinto rimpasto

31 Agosto 2024

La mozione di sfiducia, la sua portata politica, ha responsabilmente chiamato l’opposizione a discutere con sguardo libero sulla città, del suo grigio presente, del suo incerto futuro. Lo strumento della sfiducia, però, non si può concentrare solo sul sindaco, va esteso a parte dei 5 Stelle, più precisamente al suo cerchio magico, rivelatosi un deleterio cerchio tragico.

Ragione per cui, a prescindere dall’esito del voto registrato in aula, siamo ben oltre la sfiducia, siamo in realtà alle esequie, alla conclusione di un viaggio al termine della notte che si trascina aggrappato alla sopravvivenza, a uno stanco tirare a campare. Un viaggio della negazione totale dei propositi della vigilia. Segno tangibile di un fallimento, del naufragio di un progetto politico e amministrativo parolaio in campagna elettorale e già il giorno dopo rapidamente degenerato nello stucchevole culto di un’immagine senza spessore.

Bisogna guardare soprattutto ai 5 Stelle non solo per questioni quantitative, per via del maggior numero di consiglieri presenti in aula, ma per la ragione che il contorno dei suoi alleati, quello che rimane, nei quattro rimpasti in meno di quattro anni (ma è già pronto il quinto), ha avuto un’importanza solamente di tenuta numerica. Defenestrazioni, defezioni e dimissioni parlano chiaro. Per gli smemorati, questa maggioranza è da tempo una sfilacciata unione di minoranze.

Maggioranza in aula, minoranza fuori, con l’aggravante di essere precipitata in un mondo che non c’è più, perché è lontano anni luce dal momento del voto. Di contro, ha prevalso quel detto sempre attuale incarnato alla lettera in via Moro, si è trattato di un cambiamento gattopardesco che poco o nulla ha cambiato.

La vicenda della sfiducia ha messo a nudo una galleria di dirigenti grillini superstiti di un mondo scomparso, incapaci d’interpretare i mutamenti storici e sociali che stanno mestamente travolgendo la nostra comunità. Ma, avendo smarrito totalmente gli ideali del passato, giusti o sbagliati che fossero, specialmente il gruppo di comando non è mai riuscito a trovare una propria identità, il suo specifico. I 5 Stelle nostrani sono come quel volgo disperso che nome non ha. Ragione per cui, alla radice di questa anemica amministrazione prevale il dominio di un vuoto narrativo che si manifesta nella mancanza di senso, una perdita dell’orientamento che nessun uso o abuso di selfie potrà mai colmare.

Il desolante tentativo spiccatamente social di esercitare una sorta di monopolio della produzione di senso non ha funzionato. Ma dove sono i contenuti? Del resto, non è prevedibile un qualsiasi cenno di svolta in grado di innescare l’attuazione di quel racconto che alla vigilia delle elezioni si voleva alimentare dal basso, un esercizio di ritrovata democrazia solo annunciata, ma presto smarrita tra vedute miopi e cieche, tra parole perdute e tradite.

In ogni caso, sono le azioni che definiscono le decisioni amministrative, per quanto i progetti più ambiziosi in corso, bisogna dirlo, sono soprattutto un’eredità che viene dal passato, e tuttavia ancora in alto mare. Di contro, a fronte di uno sfibrante piccolo cabotaggio, oggi va evidenziata con forza la realtà che vive la città, intrappolata nella difesa a oltranza di un mediocre gioco di poltrone e posizionamenti individuali somministrato in continue dosi omeopatiche da un governo cittadino che non potrà riproporsi senza conseguenze al vaglio dell’elettorato: è questa la netta percezione comune ed è di segno del tutto opposto alla dissonanza cognitiva di chi si arrocca pervicacemente in via Moro.

Siamo invece agli ultimi atti di navigazione a vista inflitti alla municipalità, passaggi caratterizzati da una crescente degenerazione relazionale. Non c’è mai stato alcun momento di autocritica, ha piuttosto prevalso la continua riproposizione di un mondo immaginario che è in contrasto con la realtà funzionale dei fatti. Una palese distorsione secondo cui tutto funziona al top, poco o niente è migliorabile e quindi qualunque proposta o momento di confronto è considerato quasi mai utile.

Tragico abbaglio non distinguere tra il valore delle idee, la volontà di partecipare dei cittadini e l’ossessiva manutenzione di un potere che volge al termine. Non c’è carica elettiva che non sia pro tempore, e il tempo sta finendo. Al di là del voto sulla sfiducia in aula, non potrà bastare l’ennesima autoassoluzione, nessun abuso di suggestioni social potrà spostare l’attenzione dei materani altrove.

Il graduale distacco tra gli organi di indirizzo politico e la comunità è sotto gli occhi di tutti. Deficit che ha aggravato la situazione, perché nessuno ha mai ottenuto risultati importanti agendo da solo o, come è capitato più volte in questi anni, chiusi in una angusta e improduttiva autoreferenzialità relazionale. A tutto ciò aggiungiamo la totale mancanza di progettazione e visione della città nel medio e nel lungo periodo.

Ma sopravvivere all’insegna dell’ambiguità, campicchiare come sta accadendo ancora oggi, salva solamente l’orgoglio minimalista di pochi, non certo le sorti della città, mentre ai possibili transfughi di complemento non dovrebbe sfuggire che l’unico formaggio gratis si trova nelle trappole per topi. Digressioni a parte, che come è noto, sono spesso piccoli raggi di sole in grado di illuminare il discorso, il bilancio finale è comunque di segno negativo e continuare a sfuggire l’evidenza non servirà a mutare il giudizio ormai consolidato nel sentire comune della città.

Il motto di Matera che campeggia sul nostro gonfalone ci viene incontro ancora una volta, consacra la tenacia di popolo mai stanco, attento nella pazienza, mai avvinto dalle giornate avverse della sua storia, una storia che ha saputo riscrivere più e più volte nei secoli e che presto bisognerà iniziare umilmente a riscrivere.

Pasquale Doria
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