Difesa del suolo, cosa insegna l’alluvione del 1959 nel Metapontino. Puglisi, l’uomo che ricostruì le dune

7 Novembre 2024

Difesa del suolo, mai abbassare la guardia. La storia insegna. Sessantacinque anni fa, tra il 23 e il 25 novembre del 1959, nel Metapontino caddero circa 400 millimetri di pioggia. Nell’arco di pochi chilometri, i fiumi lucani che sboccano uno vicino all’altro, esondarono. L’inondazione raggiunse la linea ferroviaria, intervenne l’esercito e tra i circa 10 mila residenti di allora (oggi sono 100 mila) si contarono 11 morti per annegamento e duemila sfollati. Alluvione riconducibile ai fiumi in piena e al vento che al contempo soffiava con forza verso terra. Enormi masse d’acqua invasero una fascia larga una ventina di chilometri caratterizzata da un’estesa attività agricola a pochissimi metri di altitudine sul livello del mare.

Finanziati con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno, partirono lavori su 17.000 mila ettari lungo la costa Jonica. Gli acquitrini avevano ripreso il sopravvento, furono destinatari d’importanti misure di consolidamento. A queste seguirono le campagne di rimboschimento che, in un primo momento, interessarono i territori di Bernalda, Scanzano, Pisticci, Policoro e Nova Siri. Continuarono, quindi, verso l’interno, direzione Montalbano, Tursi, Montescaglioso e Pomarico.

Un’opera titanica. Migliaia i lavoratori occupati. Durissima si rivelò la battaglia condotta contro le acque salse. Furono piantumate essenze arboree a quote superiori per guadagnare faticosamente terreno a valle. Un sistema messo a punto dalla perizia e tenacia di quanti erano impegnati tra Ispettorato dipartimentale delle foreste e Corpo forestale dello Stato.
Per genialità e determinazione, si distinse un progettista e direttore dei lavori, Salvatore Puglisi, la cui lungimiranza univa i saperi tradizionali a quelli dell’innovazione. Tecniche che sfruttò in decine di cantieri attivi nel rimboschimento, si pensi a Timmari, e in vaste aree degradate della collina lucana i cui versanti furono messi al sicuro tramite mirate opere idrauliche d’imbrigliamento e difesa idrogeologica.

Un’eredità da non disperdere. Puglisi nacque a Ragusa il 24 marzo del 1927 e si spense il 5 agosto del 2015 a Bari. All’Ateneo pugliese insegnò Sistemazioni idraulico forestali, un percorso culminato con la nomina di socio emerito dell’Accademia italiana di scienze Forestali. Uno dei tanti titoli e incarichi pubblici che conseguì a partire dalla laurea nel 1949, a soli 22 anni, in ingegneria civile all’Università di Palermo. L’anno dopo vinse il concorso riservato a personale tecnico superiore nel Corpo Forestale dello Stato. Il primo passo maturò a Matera, in Basilicata iniziò a salire tutti i gradini di una lunga carriera.

Decisiva la svolta del 1971, quando accettò la libera docenza all’Università di Bari a seguito dell’istituzione del corso di Laurea in Scienze forestali. Lasciò definitivamente il Corpo forestale nel 1975, vincitore di concorso divenne ordinario in Sistemazioni idraulico forestali, impegno che ha onorato fino alla pensione, nel 2002, sempre a Bari.

L’esperienza sul campo, in seno al Corpo forestale, è risultata intensa ed è quindi andata avanti nell’università. Ha continuato a intensificare gli studi e le attività nel vasto ambito delle sistemazioni idraulico forestali, anticipando di decenni l’applicazione di tecniche che oggi vengono indicate con il nome di Ingegneria naturalistica. Un riconosciuto precursore. Il suo pensiero, hanno scritto di lui i suoi più stretti collaboratori, è sintetizzato in queste parole: “... le sistemazioni idraulico-forestali, al passo coi tempi, sono via via pervenute dai compiti iniziali di difesa locale dei siti abitati o coltivati, e di vie di comunicazione, a scenari più ampi, il territorio nella sua totalità, il restauro ambientale, l’infittimento delle reti ecologiche, il potenziamento, attraverso la “forestazione indotta”, di serbatoi di (assorbimento) carbonio. Per effetto di tale evoluzione, la teoria e la prassi sistematoria si combinano con altre componenti della gestione integrata dei bacini idrografici assumendovi un ruolo di primo piano”.

Alcuni esempi da manuale dell’impegno in Basilicata, come anticipato, riguardano direttamente le pratiche di consolidamento per le dune costiere del Metapontino dal 1959 al 1964, oggi definibili come interventi di ricostruzione morfologica di dune litoranea, la sistemazione di aree in frana attuando opere a basso impatto ambientale e la sistemazione di calanchi con metodi naturalistici, già dalla metà degli anni Cinquanta. Pratiche che successivamente non hanno potuto contare sempre sullo stesso livello di efficacia.

L’ampia attività di ricerca sviluppata anche in diversi viaggi di studio all’estero, l’attività didattica, nonché le sue numerose pubblicazioni, hanno contraddistinto il significato ampio e moderno alle sistemazioni idraulico forestali grazie alla perseveranza di un antesignano riconosciuto ben oltre i confini meridionali. A Matera, quanti c’erano, ricordano bene un paio di lezioni dell’Università Verde promosse da Legambiente alla fine degli anni Ottanta. Persona di grande umanità e profondo studioso, sapeva trasferire l’esperienza applicativa al campo scientifico della difesa e conservazione del suolo senza disdegnare la più ampia divulgazione.

Per la cronaca, era lui il misterioso Giorgio Baglieri, coautore con l’urbanista Marcello Fabbri e il meridionalista Leonardo Sacco, del volume “Cronache dei tempi lunghi”. I testi di Puglisi, alias Baglieri, sono precedenti alla data di pubblicazione del 1965. Precauzione, quella dello pseudonimo, necessaria per via delle ferree regole allora vigenti nel Corpo forestale. Non poteva esporsi pubblicamente senza conseguenze. Stessa condizione a valle di una serie di successivi incarichi ministeriali. Sacco ha cercato, dunque, di tutelare più a lungo possibile la vera identità, finanche con gli amici cronisti locali, a sostegno di un pioniere i cui insegnamenti, attuali più che mai, sarebbe doveroso recuperare e tramandare a futura memoria.

Pasquale Doria
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