13 Giugno 2022
Non le mandava a dire e non aveva certo bisogno dello scudo dei social oppure, peggio, di nascondersi dietro sgrammaticati messaggi cifrati. Leonardo Casamassima Sacco - questo il suo nome e cognome per esteso - ha rappresentato a lungo lo scandalo della parola documentata, l’onere vivente della prova in una realtà difficile, mai convinta del diritto alla circolazione delle libere opinioni, figuriamoci quanto intollerante al giornalismo d’inchiesta.
Al prezzo simbolico di 1 euro, ha donato la sua voluminosa biblioteca, che conta più di dodicimila volumi - ma non tutti sanno che è molto più vasta – con lo scopo di risvegliare e d’incoraggiare tra i cittadini lucani il senso di appartenenza e di responsabilità nei confronti del proprio territorio attraverso lo studio delle fonti storiche. Una sola condizione aveva posto, l’ha ripetuta fino agli ultimi giorni della sua vita, ovvero che l’insieme del patrimonio, documenti e e libri, fosse dedicato alla memoria di Adriano Olivetti. Non voleva assolutamente comparire con il suo nome e, invece, si è parlato solamente di un Fondo Sacco.
Il meridionalismo militante, espresso in numerosi saggi e, soprattutto, con il periodico “Basilicata”, di cui era editore indipendente, ha incarnato la tensione, a tratti febbrile, di un contrasto irrisolto. I suoi migliori amici, Pietro Ricciardi ed Emanuele Festa, seguirono Olivetti nel Canavese, dove divennero dirigenti della più grande fabbrica del mondo di macchine per scrivere. Festa arrivò a ricoprire il compito di capo del personale. Leonardo Sacco, no. Decise di restare per continuare una sorta di scavo negli abissi di un senso mancato.
Di contro, ben sapendo che era in viaggio, non pochi pensarono strumentalmente che si fosse fermato. Volle rimanere, in realtà, nel futuro, quello di un Mezzogiorno del riscatto, per il quale si è battuto con tutte le forze. Un orizzonte vastissimo. Trova sintesi negli scritti e nel suo lascito destinato a essere consultato in locali (troppo piccoli per la mole di materiali raccolti) affacciati su quella piazza di Giancarlo De Carlo che, per la sua spinta innovativa nelle discipline della progettazione, divise gli urbanisti di mezzo mondo.
Nel quartiere Spine Bianche, nei giorni scorsi, si è svolta un’opaca conferenza stampa, una sorta di inaugurazione di quello che, con un’infelice sintesi, come anticipato, è stato liquidato come “Fondo Sacco”. Nessun cenno all’intenso impegno svolto dallo storico materano Raffaele Giura Longo, il motore primo dell’associazione Adriano Olivetti, sodalizio che ha sostenuto pubblicamente le volontà di Sacco in vita e costantemente dopo la sua scomparsa. Nessun cenno ai numerosi riconoscimenti, tra cui il prestigioso premio dell’Istituto nazionale di urbanistica conferitogli il 6 marzo del 2010. Silenzio assoluto sulle iniziative sostenute da vari sindaci, amministratori comunali e regionali, tra cui Vito De Filippo e Vincenzo Viti. Contributi significativi, se si considera che non sono mai stati rapporti idilliaci quelli di Sacco con i partiti.
Nel mondo bloccato degli anni precedenti alla caduta del muro di Berlino esercitò un ruolo di primo piano sul fronte dei Terzaforzisti. Laico, antifascista convinto, s’ispirò a Gaetano Salvemini. Gigante del meridionalismo militante di cui conservava un messaggio speciale. Salvemini ebbe modo di leggere uno dei primi numeri di Basilicata, le cui pubblicazioni iniziarono il 26 gennaio del 1954. “Continuate e non fatevi dissuadere a cambiare”, lo sprone ai giovani redattori.
Ho potuto leggere questo messaggio come alcuni fogli vergati a mano di Manlio Rossi Doria sul piano di sviluppo del Metapontino. Sacco fu invitato a incontrare Salvemini a Sorrento e, tramite Geno Pampaloni, a conoscere direttamente a Ivrea Adriano Olivetti. Nel frattempo, si andava consolidando la fraterna amicizia con Carlo Levi e Rocco Scotellaro, nonché tanti nuovi militanti di quel Meridione in marcia come Rocco Mazzarone, Francesco Compagna, Nicola Tranfaglia. Altrettante coscienze critiche che collaborarono con Basilicata accomunati dall’ambizione esplicita di trasformare le classi dirigenti del Sud, anche oltre il “pessimismo attivo” espresso da Giustino Fortunato, riconosciuto maestro di tutti i meridionalisti, non solo lucani.
Molti di loro s’impegnarono in durissime battaglie civili. Unitamente a Sacco, collaborarono a quotidiani come “La voce repubblicana”, “Cronache meridionali”, “Italia socialista”, il quotidiano degli azionisti autonomi guidati da Aldo Garosci, “Il Mondo” di Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi. Sacco, inoltre, fu per decenni redattore a “La Gazzetta del Mezzogiorno” e, a Bari, alla guida dell’ufficio stampa della casa editrice Laterza.
Mi sarebbe bastato evocare solo queste pochissime notizie nel corso della conferenza stampa e inaugurazione della biblioteca che verrà, alla quale, chissà perché, unitamente agli altri consiglieri comunali non sono stato invitato. Iniziativa alla quale mi sono comunque “infiltrato”, insieme ad altri amici di Leonardo, Mimmo Calbi, Michele Pace, Luigi Acito. Tutti testimoni di una palese mancanza di confronto per la quale tra di noi ci siamo limitati a usare il termine “dispiaciuti”, ma solo per edulcorare i tristi tempi attuali, immemori e ingrati, colmi di grande amarezza. A proposito, senza memoria, come si pretende di tutelare qualunque utile memoria?
Pasquale Doria
Matera Civica